Studio Legale Calvello – 25esimo anniversario
DIRITTO DI FAMIGLIA
Qualunque sia la tua problematica, cominciare con il piede giusto è fondamentale.
Lo Studio Legale Calvello è, da 25 anni, la scelta giusta.
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Studio Legale Calvello?
Lo Studio Legale Calvello è una realtà professionale moderna e altamente dinamica, pronta a offrire assistenza di prim’ordine sia in ambito stragiudiziale che processuale. Il nostro team è composto in sede da avvocati e professionisti altamente qualificati e collaboratori esterni esperti in qualsiasi campo.
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Studio Legale Calvello
Integrità e trasparenza: pilastri del nostro impegno nei tuoi confronti. La massima riservatezza è garantita, mentre ti forniremo piena chiarezza su ogni passo intrapreso per tutelare i tuoi interessi.
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25 anni al vostro fianco
La nostra esperienza, la tua serenità. I nostri successi sono i tuoi trionfi, perché la tua pace e la tua giustizia sono la nostra priorità.
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Il nostro approccio
Il nostro team di avvocati è qui per te, con un approccio empatico e rispettoso. Con la nostra guida, affronta le sfide legali in modo pacifico e consensuale, riducendo lo stress e i conflitti per te e la tua famiglia.
I NOSTRI SERVIZI
Affidarsi ad avvocati esperti nel diritto di famiglia è il primo passo per arrivare ad una soluzione che tuteli il più possibile i tuoi diritti.
Assegnazione dell’abitazione familiare
Affidati alla nostra competenza per garantire una soluzione sicura e adeguata alle tue esigenze.
Determinazione assegno di mantenimento per i figli e del coniuge
La nostra esperienza e competenza nel diritto di famiglia sono la scelta giusta per tutelare con professionalità e attenzione ai tuoi diritti.
Individuazione dei beni mobili e immobili in regime di comunione o separazione
Con competenza e dedizione, offriamo consulenza e tutela nell’individuazione dei beni mobili e immobili in regimi di comunione o separazione.
Individuazione del genitore per il collocamento dei figli
Scegliere noi significa affidarsi ad avvocati e professionisti esperti per tutelare al meglio i vostri interessi familiari.
Revisione delle condizioni di separazione e divorzio
Il nostro team esperto offre consulenza e tutela legale per proteggere i tuoi interessi e garantire una procedura fluida e equa.
Dicci il tuo problema e noi ti condurremo la soluzione!
TUTELA PENALE
Siamo, da 25 anni, al tuo fianco. Non importa quanto sia grave la tua situazione noi ti assistiamo per condurti ad una risoluzione che tuteli i tuoi diritti al meglio.
Maltrattamenti in famiglia
Per la tua situazione difficile affidati solo a professionisti seri e competenti.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare
Tuteliamo i tuoi diritti in questi casi delicati.
INOLTRE TI TUTELIAMO NEI SEGUENTI AMBITI
Il diritto è la nostra passione per questo riusciamo a tutelare in molti ambiti del diritto di famiglia le persone che vengono nel nostro studio a chiedere aiuto. Non importa quanto sia grave la tua situazione noi ti assistiamo per condurti ad una risoluzione che tuteli i tuoi diritti al meglio.
Ultimi articoli
La nostra passione per il diritto non si ferma mai. Da sempre pubblichiamo articoli di attualità sulle ultime novità giurisprudenziali e legislative. Esaminiamo le ultime sentenze e le commentiamo, approfondiamo le varie tematiche per essere sempre aggiornati così da fornirti una qualificata assistenza.
Avere qualche dubbio è normale
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Posso registrare il cognome del padre per mio figlio alla nascita, insieme al nome del bambino e al mio cognome in modo informale o simbolico?
È possibile attribuire il cognome del padre al figlio, aggiungendo il cognome della madre in modo informale o simbolico. Tuttavia, è importante tenere presente che ci sono delle distinzioni legali tra cognome e nome. Per quanto riguarda il cognome, è necessario un accordo tra i genitori se desiderano assegnare solo uno dei loro cognomi al figlio. In mancanza di un accordo, verranno attribuiti entrambi i cognomi, nell’ordine deciso dai genitori. Se non vi è accordo nemmeno su questo punto, potrebbe essere necessario l’intervento del giudice per risolvere la questione.
Per quanto riguarda il nome, la legge prevede la possibilità di attribuire uno o più nomi, fino a tre. Tuttavia, nei documenti ufficiali comparirà solo il primo nome se i nomi sono separati da virgola. Quindi, se desideri aggiungere il tuo cognome dopo la virgola come secondo “nome”, è importante sapere che questo non apparirà nei documenti ufficiali.
Una delle mie figlie mi ha confidato che il suo compagno, in due occasioni separate e in presenza dei loro figli piccoli, ha alzato le mani su di lei. Sto cercando di farle capire che deve reagire. Bastano due episodi di violenza per ottenere una condanna per maltrattamenti?
In generale, la risposta è negativa, a meno che non si esaminino i dettagli specifici del caso. L’articolo 572 del Codice penale, incluso tra i delitti contro l’assistenza familiare, tratta il maltrattamento delle persone conviventi. Questa legge prevede delle circostanze aggravanti quando tali comportamenti avvengono in presenza di minori o causano lesioni gravi o addirittura la morte. I minori presenti durante tali episodi sono considerati vittime del reato.
Tuttavia, la legge non fornisce una definizione precisa del comportamento che costituisce maltrattamento. Questo è stato determinato dalla giurisprudenza nel corso del tempo. È stato chiarito che singoli episodi di violenza non sono sufficienti per configurare il reato di maltrattamento, che richiede una reiterazione nel tempo di condotte consapevoli e volontarie dannose per l’integrità fisica o morale della vittima.
Recentemente, la Corte di Cassazione ha sostenuto che determinati episodi, anche se dannosi per la vittima, non costituiscono necessariamente maltrattamento se derivano da situazioni particolari all’interno di una convivenza familiare. La condanna per maltrattamenti richiede un’abitudine a infliggere vessazioni e sofferenze fisiche o morali, lasciando la vittima succube.
Quindi, in assenza di un comportamento sistematico, consapevole e volontario di violenza fisica o morale, non si verifica necessariamente una condanna ai sensi dell’articolo 572 del Codice penale.
Sono l’unico proprietario di un appartamento assegnato dal giudice alla mia ex moglie e al mio figlio, attualmente uno studente universitario. L’immobile è gravato da un diritto di godimento, il quale probabilmente si estinguerà solo quando mio figlio raggiungerà l’indipendenza economica. Questo provvedimento di assegnazione è stato regolarmente trascritto nei registri immobiliari.
Attualmente lavoro all’estero, ma sto per tornare in Italia. Poiché non possiedo altri immobili e desidero acquistarne uno, devo vendere la casa familiare per ottenere i fondi necessari. Tuttavia, poiché l’immobile è gravato da questo vincolo, mi chiedo se il futuro acquirente possa imporre un canone di locazione per il periodo compreso tra l’acquisto e la fine del diritto di godimento. In tal modo, l’immobile, già svalutato a causa del vincolo, rimarrebbe comunque attraente.
La risposta è negativa. L’assegnazione della casa coniugale, come previsto dall’articolo 337-sexies del Codice civile, rappresenta un diritto di godimento a favore del genitore prevalentemente collocatario dei figli e nell’interesse di questi ultimi. Tale assegnazione comporta una temporanea limitazione della facoltà di godimento del proprietario del bene, nel contesto del dovere di solidarietà familiare, come specificato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9990/2019.
Inoltre, il genitore assegnatario non può essere obbligato a pagare un canone di locazione, in quanto mette l’abitazione a disposizione gratuitamente, con l’unica responsabilità di sostenere le spese ordinarie e di gestione.
Il diritto di godimento può terminare quando non è più nell’interesse del figlio, ad esempio se si trasferisce o diventa economicamente indipendente, oppure quando si verificano eventi relativi al genitore assegnatario, come la cessazione della residenza stabile nella casa o la convivenza con un nuovo partner. Nel caso in cui il rilascio non avvenga spontaneamente, è necessario rivolgersi al tribunale per chiedere la cancellazione del vincolo, con l’interesse primario del figlio sempre al centro della decisione.
Pertanto, l’immobile può essere messo in vendita, ma i potenziali acquirenti dovranno tener conto della durata del diritto di godimento e del periodo necessario per fruirne effettivamente. Resta la possibilità di trovare soluzioni concordate con l’ex moglie, offrendole altri benefici in cambio del rilascio della casa coniugale, mantenendo comunque la protezione del figlio fino alla sua indipendenza economica.
La mia ex compagna ha dichiarato in udienza di trasferirsi in un’altra regione. Da settimane, anche attraverso i miei legali, le ho chiesto di ritirare tutti i suoi effetti personali (abiti, accessori, gioielli) ancora presenti nella casa, di mia proprietà, e di procedere con il cambio di residenza, ma non ha ancora agito. Come posso intervenire senza dover pagare per il trasloco? Posso disfarmi dei suoi beni mobili senza rischiare di commettere un reato? Posso io stesso avviare le pratiche per il suo cambio di residenza?
Se un ex convivente ha lasciato l’abitazione ma non ha richiesto il cambio di residenza, il proprietario della casa può fare richiesta di cancellazione anagrafica al Comune. Questo può avvenire con un’autodichiarazione dell’allontanamento e, se conosciuto, del nuovo indirizzo della persona. In mancanza di risposta o di un nuovo indirizzo comunicato, può essere richiesta la cancellazione per irreperibilità, prevista dall’articolo 11 del Dpr 223/1989. Questo permetterà di rimuovere l’ex convivente dallo stato di famiglia.
Per quanto riguarda i beni personali, la situazione è più complessa. In generale, al termine della convivenza, i beni rimangono di proprietà di chi li ha acquistati, a meno che non esista un accordo tra le parti o una decisione relativa al collocamento dei figli. Per gli arredi e gli elettrodomestici, è possibile provare l’acquisto, mentre per abbigliamento e gioielli si può presumere la titolarità.
Nel caso in questione, il lettore può mettere in mora l’ex compagna attraverso un’ufficiale notificazione di ritiro dei suoi beni, secondo quanto previsto dall’articolo 1209 del Codice civile. In mancanza di ritiro, può procedere al deposito dei beni secondo le disposizioni di legge (articolo 1210). Se le spese per il deposito risultassero eccessive, può richiedere l’autorizzazione a vendere i beni e sostituirli con il ricavato, come previsto dall’articolo 1211.
Tuttavia, è importante valutare attentamente la convenienza di questa procedura complessa.
Sono una nonna che viene impedita dalla figlia e dal suo compagno di vedere il mio unico nipote, un ragazzo di dodici anni. Questa situazione perdura da molto tempo e ora desidero fare qualcosa per risolverla. Vorrei sapere se un giudice potrebbe permettermi di incontrare il ragazzo, anche se lui manifestasse di non volerlo, poiché temo che i genitori lo abbiano influenzato.
I minori hanno il diritto di mantenere rapporti significativi con i nonni e i parenti di entrambi i genitori, come stabilito dall’articolo 337-ter del Codice civile. Inoltre, i nonni e i bisnonni hanno il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, come indicato nell’articolo 317-bis, primo comma, del Codice civile. Tuttavia, è importante notare che il giudice deve prendere decisioni che siano nell’esclusivo interesse del minore, come specificato nel secondo comma dell’articolo 317-bis.
La Corte di Cassazione ha chiarito che questo diritto non è incondizionato, ma subordinato alla valutazione di ciò che è meglio per il minore, come stabilito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, non è possibile costringere il bambino a mantenere relazioni non desiderate. Inoltre, la spontaneità della relazione nonno-nipote è fondamentale e non può essere garantita attraverso coercizione.
Se il ragazzo ha compiuto dodici anni, ha il diritto di esprimere la propria opinione nel procedimento promosso dalla nonna. La sua eventuale opposizione all’incontro dovrebbe essere considerata, ma sempre nel contesto del suo interesse a un sano sviluppo personale. Pertanto, il giudice valuterà la situazione nel suo insieme, cercando di garantire un ambiente educativo che favorisca il benessere del ragazzo.
I genitori di un minore, anche se non sono sposati, possono entrare in crisi e decidere di cessare la convivenza. In questo caso, come vengono gestite le decisioni in caso di disaccordo prima che intervenga il tribunale? Ad esempio, può il genitore con cui attualmente si trova il figlio (generalmente la madre) opporsi alle richieste dell’altro genitore, decidendo arbitrariamente “quando e come” quest’ultimo può trascorrere del tempo con il figlio?
Le questioni relative ai figli sono ora regolate dalle stesse norme, indipendentemente dalla presenza di un vincolo matrimoniale tra i genitori. La legge 219/2012 sul riconoscimento dei figli naturali ha introdotto il principio dell’uguaglianza sostanziale, stabilendo che tutti i figli hanno lo stesso status giuridico (articolo 315 del Codice Civile). La riforma Cartabia (Digs 150/2022) ha chiarito ulteriormente la procedura in materia di persone, minorenni e famiglie.
Gli articoli da 316 a 337 del Codice Civile trattano della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri dei figli. Essi stabiliscono che madre e padre devono esercitare le loro funzioni “di comune accordo” e, in caso di disaccordo su questioni importanti, ciascuno può rivolgersi al giudice senza formalità. Inoltre, vengono delineati criteri per limitazioni e decadenze della responsabilità genitoriale.
Anche quando i genitori non sono sposati tra loro, le disposizioni degli articoli da 337-bis a 337-octies del Codice Civile regolano le questioni relative ai figli. Queste norme stabiliscono che il giudice deve prioritariamente valutare l’affidamento condiviso e decidere sui tempi e le modalità di visita dei genitori.
Fino a quando non viene emessa una decisione del tribunale o non si raggiunge un accordo valido tra i genitori, nessuno di loro, anche se attualmente il figlio risiede con uno dei due, può imporre unilateralmente le proprie decisioni riguardo ai tempi di visita del figlio.
Il periodo più critico è solitamente quello che intercorre tra la presentazione della richiesta al tribunale e l’emissione di una decisione. Tuttavia, la riforma Cartabia ha introdotto disposizioni che affrontano situazioni difficili, come quando il minore rifiuta di incontrare un genitore o quando vi sono comportamenti che ostacolano il rapporto tra il minore e l’altro genitore. In tali casi, il giudice può ascoltare il figlio, assumere informazioni in modo sommario e abbreviare i termini processuali, oltre a poter adottare provvedimenti urgenti se necessario per evitare danni imminenti o irreparabili.
Siamo una coppia sposata con due figli e abbiamo offerto la nostra disponibilità ad accogliere minori in affidamento familiare. Potrebbe essere proposto a breve l’arrivo di un bambino di pochi mesi, e desideriamo essere chiari con i nostri figli riguardo alla durata del progetto e comprendere le novità introdotte con l’ultima riforma in merito al termine previsto per l’accoglienza in famiglia.
Il comma 4 dell’articolo 4 della legge 184/1983 ha subito delle modifiche (tramite il Digs 149/2022, successivamente integrato dalla legge 27/2022) che mirano a garantire un maggiore rispetto del termine massimo biennale previsto per l’affidamento familiare.
Secondo le nuove disposizioni, nel provvedimento che stabilisce l’affidamento di un minore a una famiglia deve essere indicato un periodo di presumibile durata, correlato alle attività svolte per il recupero della famiglia d’origine, che non può superare i ventiquattro mesi. Tuttavia, il tribunale per i minorenni può prorogare questo termine su richiesta del pubblico ministero e nel contraddittorio delle parti, qualora la cessazione dell’affidamento possa arrecare grave danno al minore.
A partire dal 28 febbraio 2023, per i procedimenti avviati dopo questa data, è previsto che il percorso di affidamento termini al raggiungimento del termine inizialmente stabilito, diversamente da quanto avveniva in passato. I servizi sociali devono segnalare al pubblico ministero la possibilità di richiedere una proroga prima della scadenza del termine, affinché quest’ultimo possa prendere una decisione in merito. In questo modo, non è più prevista l’estensione automatica dell’affidamento oltre il termine prestabilito, pratica che in passato ha portato a mantenere molti minori in affidamento fino al raggiungimento della maggiore età, senza un effettivo ritorno alla famiglia d’origine.
Verso alla mia ex moglie un contributo al mantenimento dei miei due figli maggiorenni, come stabilito dal giudice. Ora il più grande ha terminato gli studi e sta per iniziare a lavorare, quindi credo sia giusto dimezzare l’assegno. Tuttavia, secondo la madre, sarebbe più corretto se io pagassi per il figlio più piccolo una somma superiore a quella che corrisponderebbe alla metà dei versamenti precedenti. Chi ha ragione?
Se non sono intervenuti altri cambiamenti nella situazione – soprattutto riguardo agli elementi che influenzano l’entità del contributo al mantenimento dei figli – è corretta l’intenzione di dimezzare l’assegno mensile alla ex moglie una volta che uno dei figli raggiunge l’indipendenza economica. La Corte di Cassazione, in una recente decisione (ordinanza 17885/2023), ha stabilito che la cessazione del contributo dovuto dal padre al mantenimento di una figlia maggiorenne e autosufficiente economicamente non comporta automaticamente un aumento del sostegno destinato all’altro figlio ancora non autonomo.
È stata considerata infatti priva di fondamento la richiesta dell’ex moglie di aumentare il sostegno economico destinato al figlio non ancora autonomo contemporaneamente alla revoca del contributo per la figlia indipendente. In questi casi, il giudice deve sempre valutare, sulla base delle prove fornite dalla parte richiedente, le aumentate esigenze di vita del figlio ancora non autosufficiente, senza che ci sia un automatico aumento del contributo.
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