L’assegnazione della casa familiare è condizionata soltanto all’interesse dei figli

Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 07-06-2018) 12-10-2018, n. 25604

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole e, nel nuovo regime, introdotto già con la 1.54/2006, è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il “criterio preferenziale” costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso.

L’ORDINANZA

(Omissis)

 Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Lecce, con Decreto n. 1801 del 2016, – pronunciato in sede di reclamo avverso provvedimento del Tribunale di Brindisi con il quale, a modifica, ex art. 710 c.p.c., delle condizioni di separazione personale dei coniugi D.P. – S. definite mediante accordo omologato del 2010, era stato disposto l’affidamento congiunto del figlio minore D. ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso il padre, cui era assegnata coniugale, il mantenimento della figlia maggiorenne, ma non autosufficiente, da parte del padre, con un assegno di Euro 200,00 mensili, nonchè il versamento, da parte del medesimo, di un contributo di Euro 400,00 mensili alla S. per la locazione di altra abitazione, – ha, in parziale riforma, disposto che l’assegnazione della casa coniugale restasse alla moglie e fissati, per la decorrenza dell’obbligo di mantenimento della figlia da parte del padre, “il primo rateo successivo” alla decisione assunta dalla Corte e le modalità di frequentazione della madre con il figlio minore, previo affidamento dello stesso ai Servizi Sociali, al fine di assicurare un percorso di sostegno psicologico del minore.

In particolare, la Corte distrettuale, accogliendo il reclamo principale della S. ha rilevato che, anche se la situazione del figlio minore, specificamente di suo “rifiuto” della madre, risalente al “(OMISSIS)”, non poteva ritenersi un “fatto nuovo”, idoneo a giustificare la modifica delle condizioni di separazione, tuttavia essa rappresentava un dato effettivo, diverso da quello esistente al momento della separazione, che giustificava la collocazione del minore in prevalenza presso il padre, genitore co-affidatario; la Corte quindi ha ritenuto necessario mantenere l’assegnazione della casa coniugale alla S. giacchè quest’ultima vi coabitava con la figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente (revocando, di conseguenza, anche la previsione dell’obbligo del coniuge di contribuire economicamente al reperimento di altro alloggio da parte della moglie), mentre il figlio minore, da circa sei anni, si era trasferito dalla nonna (la quale, pur abitava, nello stesso stabile), cosicchè detta casa coniugale poteva definirsi “stabile abitazione” per la figlia e non per il figlio minore. La Corte ha dato atto che, in difetto di censure, restava fermo l’obbligo di mantenimento della moglie, con assegno mensile di Euro 100,00.

Avverso la suddetta pronuncia il D.P. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della S. (che resiste con controricorso). Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

  1. Preliminarmente, nella memoria depositata, il ricorrente deduce che sarebbe intervenuto, nel marzo 2018, nel procedimento di divorzio, avviato dinanzi al Tribunale di Brindisi, un accordo tra i coniugi, con il quale vengono disciplinate le condizioni economiche e di affidamento dei figli, e chiede dichiararsi la cessazione della materia del contendere.

Non ricorrono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza (sulla quale peraltro nulla dice la controricorrente), in quanto si tratta di un mero accordo in itinere e la causa in questione è stata rinviata ad altra udienza di luglio (essendo l’accordo condizionato all’effettivo rilascio della casa coniugale da parte della S. entro il (OMISSIS)).

  1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 155 c.c., nonchè “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al capo della decisione con il quale si è statuito sull’assegnazione della casa coniugale, dando rilievo prioritario all’interesse della figlia maggiorenne, la quale peraltro, essendo studentessa universitaria, vive spesso “fuori sede”, rispetto a quello del figlio minore, costretto, per le relazioni conflittuali dei genitori, ad andare a vivere dalla nonna; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c., nonchè “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento a favore della moglie e della figlia maggiorenne, non essendo stato valutato il reddito del marito, in rapporto alla situazione economica della moglie, alla sua capacità reddituale, al contributo offerto da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla durata della convivenza; 3) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 13 Cost., nonchè “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al capo della decisione con il quale si è ordinato a D.P. di avviare con urgenza il percorso di sostegno psicologico del figlio minore e la ripresa dei rapporti con la madre, avendo la Corte, contraddittoriamente, disposto l’affidamento del minore ai Servizi Sociali, onerando tuttavia il genitore collocatario di tutti gli adempimenti spettanti ai servizi territoriali; 4) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 330 c.p.c., nonchè l'”omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla non rilevata inammissibilità del reclamo proposto in via principale dalla S. per sua notifica solo ad uno dei co-difensori, in primo grado del D.P..
  2. Sono anzitutto inammissibili i vizi motivazionali dedotti nei motivi (da scrutinare in base al testo di tale disposizione risultante delle modifiche recate dal D.L. n. 83 del 2012, poichè la sentenza impugnata risulta depositata in data successiva all’11 settembre 2012), in quanto nel mezzo di ricorso non si indicano fatti storici (della cui deduzione nel giudizio di merito venga dato conto nel rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione) il cui esame, omesso nella sentenza gravata, avrebbe portato ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa, ma si lamentano profili di insufficienza motivazionale, non più denunciabili in questa sede.
  3. Il quarto motivo, implicante error in procedendo, di rilievo pregiudiziale, è infondato.

Il reclamo, in sede di modifica delle condizioni di separazione, risulta notificato, nel domicilio eletto dal D.P. ad uno dei due co-difensori nominati (l’Avv.to Rizzo) e non anche all’altro difensore (avv.to Sartorio), il quale peraltro, secondo quanto rilevato dalla Corte d’appello, avrebbe materialmente ricevuto l’atto diretto all’Avv.to Rizzo, quale “collega” di studio, come indicato nella cartolina di ricevimento. Il D.P. si era costituito nel giudizio ritualmente, proponendo anche gravame incidentale.

Ora questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 14916/2016) ha affermato che “il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del Giudice ex art. 291 c.p.c.”. La vicenda che aveva occasionato la rimessione della questione alle Sezioni Unite riguardava, per l’appunto, un’ipotesi in cui la notificazione del ricorso per cassazione era stata compiuta nel domicilio eletto per il primo grado di giudizio, allorquando era stato eletto in appello un nuovo domicilio e presso un diverso difensore, laddove, nella fattispecie, pacificamente, non vi è stata revoca del precedente difensore ma nomina di altro difensore in aggiunta ed il D.P. si era costituito in giudizio, con sanatoria ex tunc della nullità (Cass. 8525/2017).

  1. La prima censura è infondata.

Non vi è stata violazione dell’art. 155 quater c.c., avendo la Corte d’appello accertato, in fatto, che la figlia P. maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente, in quanto studentessa universitaria presso l’Università di Lecce, aveva mantenuto un collegamento stabile con l’abitazione, nella quale conviveva con la madre, a differenza del figlio minore D. il quale, sin dal (OMISSIS), si era volontariamente allontanato da detta casa, andando a vivere con la nonna (e con il padre).

Come il previdente art. 155 c.c., comma 4 (e, per il divorzio, la L. n. 898 del 1970, art. 6), l’art. 155 quater (introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54) e l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, in vigore dal 7 febbraio 2014), nella parte in cui prevedeva (l’art. 155 quater) e prevede (l’attuale art. 337 sexies) che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, hanno una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni sociali che in esso si radicano (Cass. 6979/2007, 16398/2007, 14553/2011, 21334/2013).

L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole e, nel nuovo regime, introdotto già con la 1.54/2006, è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il “criterio preferenziale” costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso (C. Cost. 308/2008).

Questa Corte (Cass. 23591/2010) ha infatti ribadito che “la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione” e che “suddetta scelta, inoltre, neppure può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico”; l’assegnazione della casa familiare in conclusione è “uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità” (conf. Cass., da ultimo, l’art. 6 15367/2015).

  1. Il secondo motivo, con il quale il D.P. malgrado quanto indicato nella “rubrica”, si duole, in effetti, del solo provvedimento di fissazione di un contributo, a suo carico, per il mantenimento del coniuge, di Euro 100,00 mensili, fissato dalla Corte d’appello senza valutazione comparata delle condizioni economiche dei coniugi, nulla essendo neppure allegato in ordine al venir meno delle condizioni per il mantenimento della figlia maggiorenne, è inammissibile.

Invero, la Corte d’appello ha affermato che l’accordo di separazione del giugno 2010, per ciò che atteneva all’assegno di mantenimento in favore della S. non era stato modificato dal Tribunale, senza che fossero sollevate specifiche censure da parte del reclamato-reclamante incidentale, ed il ricorrente neppure censura detta statuizione.

  1. Anche il terzo motivo è inammissibile.

Invero, il ricorrente si limita, del tutto genericamente, a lamentare che gli sia stato imposto un ordine, corredato da sanzioni in caso di violazione, di accompagnare il minore sedicenne presso i servizi sociali affidatari, cosi determinandosi una “inaccettabile coercizione fisica nei confronti del minore”.

Orbene, non si pone il problema di una “illegittimità” della terapia espletata sul minore, quanto piuttosto, se del caso, può essere posto in discussione che la terapia seguita sia quella preferibile per il bambino. La valutazione, evidentemente, attiene al merito del giudizio e risulta insindacabile, se adeguatamente motivata, in sede di legittimità.

Peraltro, nella specie, la Corte d’appello si è limitata a rammentare la sanzionabilità, ex art. 709 ter c.p.c., dell’eventuale comportamento inadempiente tenuto dal genitore incaricato di accompagnare il figlio minore agli incontri presso i Servizi Sociali o presso la madre e l’art. 709 ter c.p.c., contempla la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria solo in caso di “gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento nelle modalità dell’affidamento”.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, e titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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